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Manifestazioni in tutto il mondo per il 44esimo «Earth Day»  L’Italia ha perso in vent’anni il 20 per cento delle campagne 

aprile 23, 2014

Dalla Provincia Pavese di oggi.

Un miliardo di voci chiedono ai governi di salvare il Pianeta

Obiettivo del 2014 è rendere le città più verdi promuovendo l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili

Una rete con oltre un miliardo di persone in 192 Paesi nel mondo si è mobilitata per proteggere il Pianeta. Nella 44/a edizione dell’Earth Day, la Giornata della Terra istituita dall’Onu, in cui si celebrano le città “verdi”, da Sydney a Nuova Delhi, da New York a Roma, al Cairo, da Pechino a Beirut, dall’Amazzonia a Honolulu, a Washington e a Mosca, sono state organizzate manifestazioni per chiedere azioni concrete ai governi per fermare i disastri ambientali. «L’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo e la terra dove cresce il nostro cibo sono parte di un ecosistema globale delicato, che è sempre più sotto pressione per colpa della mano pesante dell’uomo» ha avvertito il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, lanciando un appello a prendersi cura del Pianeta, «la nostra unica casa», promuovendo lo sviluppo sostenibile e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili. L’Sos sull’urgenza di ridurre le emissioni globali di gas serra, combattere i cambiamenti climatici, vivere in modo più eco-friendly e proteggere così le generazioni future è una causa che va avanti per tutto l’anno: l’impegno si concentra sulle misure per un futuro più sostenibile soprattutto nelle città dove ormai si concentra la metà della popolazione mondiale. Il focus è nel risparmio di energia, nell’uso delle rinnovabili, nella lotta agli sprechi, nell’aumento di aree verdi; significa ridisegnare i trasporti, i sistemi energetici, l’edilizia. Per il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, «in un mondo che continua a consumare risorse naturali che non sono infinite, ogni governo ha il dovere morale di affrontare la salvaguardia del pianeta come un’emergenza immediata». C’è l’impegno per rilanciare la crescita italiana ed europea attraverso «un’economia completamente ambientale e sostenibile, costruita su un modello circolare di riutilizzo immediato di ciò che si usa, sulla riduzione delle emissioni nocive per una migliore qualità della vita e per frenare i cambiamenti climatici di cui paghiamo già le conseguenze, sulla limitazione drastica degli sprechi di cibo e acqua, sulle fonti rinnovabili, sulla messa in sicurezza del territorio. E ancora sulla difesa dei mari, della natura e delle specie protette», ha detto ancora il titolare dell’Ambiente. Insomma occorre rafforzare la sensibilità ambientale dei cittadini, partendo dalle scuole. Questa giornata «deve essere un momento di riflessione sulla tutela del nostro territorio e sulla capacità produttiva che avremo in futuro», gli ha fatto eco il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, ricordando che «in Italia, negli ultimi 5 anni, abbiamo perso 70 ettari di terreno al giorno». «Dobbiamo intervenire in fretta. Siamo impegnati affinché il nostro Paese abbia una legge adeguata sul contenimento del consumo del suolo», aggiunge il ministro. L’Italia ha perso negli ultimi venti anni il 15% delle campagne per effetto della cementificazione e dell’abbandono, provocati da un modello di sviluppo sbagliato che ha ridotto di 2,15 milioni di ettari la terra coltivata, è l’allarme lanciato anche dalla Coldiretti mentre per l’Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni (Anbi) «non può esserci green city senza sicurezza idrogeologica». Legambiente auspica infine che l’Earth Day 2014 sia l’ultimo senza i delitti contro l’ambiente nel codice penale visto che «sono oltre 30 mila ogni anno i reati commessi contro l’ambiente: un’attività che frutta a chi delinque – segnala l’associazione – oltre 16 miliardi di euro».

 

La Giornata per la Terra non è banale, la Natura oggi rischia la bancarotta

«La Natura rischia la bancarotta perché stiamo superando i confini del Pianeta. Già ora la perdita di biodiversità e i cambiamenti climatici hanno superato i limiti e gli effetti stanno avendo conseguenze negative sull’umanità, causa stessa del problema». Così comincia l’appello lanciato da Wwf International per la Giornata mondiale per la Terra. Rischiamo la bancarotta della Natura, l’alterazione catastrofica degli equilibri naturali e ambientali, con ulteriori inarrestabili aumenti delle emissioni di CO2, riscaldamento del pianeta, scioglimento dei ghiacciai e quindi innalzamento dei mari, allagamento delle pianure più esposte, da noi quella padana. Ma siccome si parla di scenari che riguardano i nostri nipoti, o pronipoti, ce ne restiamo, in pratica, a guardare. Difatti i lavori per l’attuazione dei protocolli della Conferenza di Kyoto sono fermi da un quinquennio. Cina, India e Brasile soprattutto hanno imposto una vistosa frenata al pesante piano di “sacrifici” che Paesi già altamente sviluppati (a cominciare dagli Usa) volevano loro imporre senza “pagare dazio”, cioè senza finanziare adeguatamente il taglio delle emissioni di CO2. E gli altri si sono facilmente adeguati. Non ci si rassegna infatti nel mondo globalizzato del capitalismo, privato o di Stato, all’idea che le risorse primarie vanno verso l’esaurimento, che, con una crescita senza fine, stiamo davvero rubando il futuro a chi verrà dopo di noi. Quando, nel 1972, un imprenditore di cultura internazionale come Aurelio Peccei (Club di Roma) presentò il dossier sui “Limiti dello sviluppo”, venne trattato da conservatore che non voleva la crescita economica e anche sociale del pianeta, che la negava, anzi, ai Paesi del Terzo Mondo. L’anno dopo sopravvenne la grande crisi petrolifera e poi quelle dei prodotti cerealicoli di base. Pagate, è ovvio, dai Paesi più deboli. Ma l’idea che occorresse nei Paesi “ricchi” investire in tecnologie “pulite”, in energie rinnovabili (fuggendo dai rischi del nucleare), in una politica capillare del risparmio dei beni primari irriproducibili non ha fatto tutta la strada che doveva fare. Ancor meno ne ha fatta quella di non vendere ai nuovi colossi industriali i propri impianti, siderurgici o petrolchimici, obsoleti e quindi altamente inquinanti e di concorrere ad un fondo mondiale che, tagliando le emissioni di “veleni”, compensasse i Paesi più poveri. Occorrerebbe una sorta di accordo mondiale su crescita/decrescita che, alla maniera di quello propugnato da economisti come John Maynard Keynes per la finanza negli anni post-depressione, ponesse le strategie internazionali su binari meno incerti (o meno supini al Dio Denaro, come lo chiama papa Francesco). Un simile piano però esige – come i Protocolli di Kyoto in fondo – una forte presenza “virtuosa” degli Stati nell’economia e non la loro sostanziale assenza come invece il neo-liberismo ha propugnato provocando – fra Europa e Usa – la crisi epocale in atto. L’Europa ha fatto, a macchia di leopardo, sforzi importanti per sostituire petrolio, carbone e anche nucleare, specie in Germania al tempo dei governi Spd-Verdi, col solare e con l’eolico. In Italia è molto aumentata l’energia solare. In modo però disordinato, con incentivi che pesano troppo sulla bolletta elettrica e con agevolazioni per l’eolico tanto costose quanto improduttive per la carenza in Italia (ma lo si sapeva) di venti forti e costanti. Per il consumo di suolo invece non stiamo facendo nulla: una coltre di cemento e asfalto copre e impermeabilizza ormai il 7 % del Belpaese, oltre il 10 % in Lombardia, Veneto, Emilia, cioè la pianura padana, ma supera il 60 a Napoli o a Milano. Con alluvioni ripetute, disfacimento ideo-geologico, vittime. Una tragedia ormai continua. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

 

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